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 «Sinistra confrontati con la realtà e non leggerla solo ideologicamente>>

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MessaggioTitolo: «Sinistra confrontati con la realtà e non leggerla solo ideologicamente>>   «Sinistra confrontati con la realtà e non leggerla solo ideologicamente>> Icon_minitime23/5/2008, 12:17

Franco Cassano Docente di Sociologia e di Sociologia della conoscenza
alla Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bari

«Sinistra confrontati con la realtà
e non leggerla solo ideologicamente»

Sabina Morandi

L'emergere della destra? Nessuna sorpresa. Anzi, al contrario, l'effetto di trasformazioni sociali di lunga durata che la sinistra ha mancato di registrare. E' quanto pensa Franco Cassano, professore di Sociologia e di Sociologia della conoscenza alla Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bari.

Cominciamo dalla pesantissima sconfitta elettorale...
E' certamente l'effetto di un'onda lunga, anche se questa volta c'è stata un'accelerazione e una crescita di visibilità. E' stata insomma messa a nudo una tendenza di lungo periodo che è molto netta, e questo credo sia l'elemento da prendere in considerazione se vogliamo misurarci con la realtà senza alcuno schermo protettivo. Insomma, molte cose, come ad esempio il voto operaio a Nord, erano già note: se uno andava a vedersi i dati di una ricerca dell'Itanes relativa al 2004, già allora risultava che la percentuale di operai era più alta nel centrodestra che non nel centrosinistra. Si è quindi solo accentuata una tendenza già presente: gli operai votano di più a destra già da qualche anno, nella scia del lavoro autonomo. Nel centrosinistra gli operai sono di meno, mentre sono più gli impiegati pubblici e i pensionati.

Operai diventati reazionari?
La stabilità di questa tendenza dimostra che sono tante le trasformazioni sulle quali secondo me si è ragionato poco, specialmente a sinistra e soprattutto nell'area della Sinistra Arcobaleno. Io credo che in primo luogo ci sia stato un mutamento della composizione di classe nel paese. Rispetto agli altri paesi europei, in Italia c'è sempre stata una forte presenza delle piccole e medie imprese, ma negli ultimi anni, specialmente a Nord, si è diffusa una piccolissima impresa, quella che Bonomi e Rullani chiamano, il "capitalismo personale", e altri "lavoro autonomo di seconda generazione": un'imprenditorialità piccola e diffusa nella quale non c'è più l'egemonia dell'operaio fordista, cioè dell'operaio della grande fabbrica che, in linea di massima, era collocato ideologicamente a sinistra. Nelle micro-aziende, spesso fondate da un ex-operaio di un grande impianto, è molto probabile che gli operai, invece di pensare un domani di combattere il padrone e fondare un soviet, sperino di mettersi in proprio. E questa composizione di classe, innestandosi su una tradizione fondata sulla piccola e media impresa, porta a un'egemonia culturale che non si riconosce con le ragioni della sinistra. In una recente intervista a Liberazione Zipponi sosteneva che anche l'operaio che lavora nell'impianto più grande, che è ormai un'isola in un oceano di microimprese, può essere iscritto alla Fiom e nello stesso tempo votare Lega. Fa parte di due comunità: quella della Fiom e quella territoriale. Ed è proprio su scala territoriale che la Lega ha funzionato come una specie di sindacato, offrendo, intorno ad un'etica del lavoro interclassista, coesione sociale e sicurezza, che guarda con sospetto gli ultimi arrivati, percepiti come un rischio altissimo. E' questo il modello che si è affermato nelle città più importanti del Nord. Ed è così che la linea di divisione territoriale, si pensi al federalismo fiscale, guadagna punti rispetto alle linee di divisione classica fra destra e sinistra, e questo paradossalmente avvantaggia la destra.

Per questo può funzionare una cosa che sembrava impensabile come il leghismo siciliano?
Credo che su questo punto il nuovo governo avrà seri problemi. Pensiamo proprio al federalismo fiscale. Secondo i dati elaborati dall'Associazione delle piccole imprese artigiane di Mestre, se si andasse al federalismo fiscale puro, il cambiamento sarebbe traumatico. Adesso le Regioni del Nord pagano più della media nazionale (45-46%): la Lombardia paga il 64%, il Piemonte il 53% come il Veneto. All'altro estremo ci sono la Puglia e la Campania, ma anche la Liguria (30%), il Molise (24%), la Calabria (22%), la Basilicata (21%). Ma c'è un particolare importante: da queste statistiche è esclusa la Sicilia in quanto Regione a statuto speciale. Da questi dati è abbastanza
evidente che a Sud il federalismo fiscale produrrà una drastica riduzione dei servizi o un drastico aumento delle tasse. Si tratta di una forma di secessione morbida nella quale chi è più ricco fa un passo indietro rispetto a chi è più povero. E verrebbe da chiedersi se un domani non possa accadere anche all'interno delle singole comunità, quando i più ricchi proveranno a separarsi dai più poveri in una sorta di secessione infinita… In ogni caso, la linea autonomista di Lombardo è ben protetta dal carattere a statuto speciale della sua regione, ben più ricca delle altre regioni meridionali e che (come il Trentino, la Sardegna e la Val d'Aosta) non sarebbe toccata dal federalismo fiscale.

Ma non c'è modo di invertire questa tendenza, questo vento di destra?
L'egemonia di destra viene da lontano. Abbiamo avuto un ciclo di forte egemonia della sinistra soprattutto a partire dagli anni 60: erano gli anni dello sviluppo economico, dell'espansione del Welfare State , ma anche dell'operaio fordista, eroe di una fase importante della cultura della sinistra. E quando il futuro sembra aperto, la passione predominante è la speranza, dominano le idee di apertura, d'inclusione, l'universalismo, tutti valori caratteristici della sinistra. Questo ciclo storico finisce e la globalizzazione e il liberismo ne mettono in crisi i due protagonisti, lo stato nazionale e la classe operaia fordista. La politica perde il suo ruolo forte di governo e i processi di riorganizzazione del lavoro frantumano e decentrano la produzione. Nel rapporto di forza tra precarietà e protezione la prima vince a mani basse e si diffonde. Ma l'incertezza alimenta la passione opposta, la paura, e quando prevale la paura ci si chiude, ci si protegge dagli altri e li si esclude, perché essi sembrano un'insidia, specialmente a chi la sicurezza l'ha raggiunta da poco e con fatica. Ci si chiude e ci si divide, i penultimi contro gli ultimi. E' un ciclo difficile in cui il vento prevalente è di destra e soffia contro.

Come contrastarlo?
Cercando le strade per una nuova forma di radicamento. Sono stato testimone di quella che è stata definita la "primavera pugliese" culminata con l'elezione di Nichi Vendola ma che, in realtà, è partita molto prima, dall'elezione del sindaco di Bari. Ebbene, in un periodo di bassissima credibilità dei politici, è stato praticato un processo in cui ha dominato la spinta dal basso: la vittoria alle comunali è venuta da un candidato che è emerso non dalle segreterie dei partiti ma da una consultazione nella quale erano presenti le associazioni. E, come tutti sanno, Vendola ha vinto anche perché era passato attraverso le primarie che sono state un momento di grande mobilitazione. Il segreto di queste due vittorie è stato la partecipazione, che ha permesso di restituire alla politica una legittimità che aveva perso.

Basta fare le primarie, dunque?
Per carità, no, il radicamento è un processo lungo e complesso, non un'elezione plebiscitaria. Se la partecipazione si traduce nell'eleggere qualcuno che poi decide tutto da solo, le primarie servono a poco. Le primarie come investitura non colmano la distanza fra i politici e i cittadini. E la Sinistra Arcobaleno non ha certo brillato per diversità: quattro gruppi a livello nazionale hanno deciso con il bilancino e dall'alto tutte le candidature. Se si vuole provare a risalire la china, le discussioni non possono svolgersi solo nelle segreterie dei partiti. La partecipazione non è un taxi da cui puoi scendere quando vuoi. Prima o poi vieni punito.
Certo essa non basta, anche perché, con quel mutamento della composizione di classe di cui abbiamo parlato, c'è il rischio che a disertare la partecipazione politica siano le figure sociali che non hanno tempo e risorse per farlo, e che l'azione collettiva sia sconfitta dall'individualismo oppure si acquieti nella casa leghista. Ma è di lì che si deve partire.

Non pensa che ci sia stata una sorta di "deriva etica" della politica che può venire percepita come un'attività elitaria da parte di chi, appunto, impiega tutto il suo tempo per cercare di arrivare a fine mese?
Il risultato elettorale è l'occasione per guardare in faccia la realtà. Del proprio insediamento sociale la sinistra ha un'immagine figlia più dell'ideologia che non di un confronto spregiudicato con la realtà. Le trasformazioni sociali di cui abbiamo parlato hanno prodotto una polverizzazione del vecchio insediamento sociale e uno spostamento dei partiti (e dei movimenti) di sinistra verso strati sociali diversi da quelli che ne costituivano il riferimento privilegiato. Con la crisi del fordismo la classe operaia non è più al centro di questo universo. Il Pd guarda all'impresa giudicando superata la lotta di classe, mentre la sinistra ha in mente l'ambiente, le battaglie per i diritti civili e i migranti. Il sindacato è rimasto da solo su questo terreno e questo spiega come mai l'operaio possa essere della Fiom e votare la Lega. Ebbene, di fronte a questo fenomeno, l'errore più grave sarebbe quello di recuperare un vecchio linguaggio, parlare di deriva piccolo borghese. Di fronte a trasformazioni così profonde il moralismo ideologico non serve a niente. Il problema che deve preoccupare è un altro: la divaricazione tra la partecipazione politica e le classi sociali meno forti. In fin dei conti la classe operaia fordista era anche un modello di azione collettiva. Quella postfordista e il lavoro precario fanno fatica a riconoscersi in modelli di azione collettiva. Quest'ultima diventa invece il patrimonio di altre figure sociali e di altre battaglie. Non ci sono scorciatoie o nostalgie, bisogna capire.

Faccio un parallelo azzardato: nel 2004 la sinistra indiana vinse a sorpresa le elezioni contro il partito fondamentalista. A chi si stupiva venne risposto: gli indiani danno sempre lo stesso voto anti-liberista, sono i politici che cambiano l'agenda.
La destra è sensibile, a suo modo, al tema del radicamento: la Lega è un partito super-radicato, Alleanza nazionale lo è o almeno lo era. Il punto è proprio qui: la destra sembra oggi avere un'idea, contraddittoria e talvolta demagogica, di come rispondere ai processi dissolutivi indotti dalla globalizzazione, la sinistra è divisa e la prova del governo lo ha mostrato in modo drammatico. Ma vede, è proprio la dimensione profonda dei problemi che mi porta a dire che la dimensione del governo per la sinistra non è un cedimento, ma al contrario una conquista. Io temo che l'allergia radicale al governo nasca anche dalla povertà di idee. Tradizionalmente la sinistra sui grandi temi si confrontava all'interno dei partiti, cosa oggi inimmaginabile. Nei congressi c'erano discussioni aspre, ma di grande respiro, penso ai congressi socialisti degli anni 60 all'inizio del centro-sinistra, ma questa tradizione sembra scomparsa. Il respiro si è fatto più corto e diventa difficile rinvenire nel confronto la traccia di una cultura forte ed espansiva. "Pensare il governo" non è un cedimento alle sirene del potere, ma un segno di sicurezza nelle proprie idee, nella propria capacità di progettare il futuro. Per governare devi possedere un'idea forte e devi avere voglia di metterla alla prova. La mia impressione invece è che l'incrocio di culture presenti in Rifondazione veda il governo o come un pericolo o come una scelta tutta tattica, da valutare in relazione all'opportunità politica. Ma se non c'è un disegno forte, ad esempio quello di governare in modo alternativo la composizione di classe, se non c'è un'ambizione egemonica, si rimane incastrati nella tattica e si lascia agli altri uno spazio enorme.

C'è la possibilità che nel congresso queste discussioni di sostanza, così come l'esperienza di governo in Puglia, diventino patrimonio comune?
Vendola è l'unico esponente di Rifondazione che si è misurato con il governo non come ministro o assessore, ma come responsabile dell'intera coalizione. Un'esperienza preziosa, che invece di rimanere un patrimonio individuale dovrebbe essere comunicata, diventare materiale di una riflessione collettiva. E' anche per questo che l'esistenza di cinque mozioni mi fa paura. C'è il rischio che la sconfitta continui con altri mezzi, con la frammentazione e la divisione. I problemi sul tappeto sono di tale portata che una discussione tutta orientata sull'esito congressuale finirebbe per rimuoverli. C'è bisogno per riprendere quota, del contrario di un riflusso difensivo. Non credo che ci sia qualcosa a cui tornare, ma una sfida di lungo periodo da accettare.

23/05/2008 da Liberazione.it
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