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 Lettera aperta a Ferrero e Grassi sul partito e sul dolore. di Niki Vendola

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MessaggioTitolo: Lettera aperta a Ferrero e Grassi sul partito e sul dolore. di Niki Vendola   Lettera aperta a Ferrero e Grassi sul partito e sul dolore. di Niki Vendola Icon_minitime27/5/2008, 15:33

Lettera aperta a Ferrero e Grassi sul partito e sul dolore
Nichi Vendola
Caro Paolo Ferrero, caro Claudio Grassi,
vi scrivo pubblicamente perché sento che la nostra vicenda politica sta per toccare un punto di non ritorno. La discussione congressuale è diventata un'arena per gladiatori, con un livello bassissimo di analisi e approfondimento e, viceversa, con un tasso crescente di "militarizzazione" del partito. Un minuto dopo la sconfitta elettorale mi ero permesso di chiedere a tutta la nostra comunità, così dolorosamente ferita, di non imboccare l'abbrivio della ricerca dei "colpevoli" o delle rese dei conti interne ai gruppi dirigenti. Siamo tutte e tutti sconfitti e tutte e tutti bisognosi di capire le ragioni profonde della nostra marginalità, e dunque bisognosi di ritrovare quelle passioni forti che ci danno il fiato e il coraggio per rimetterci in cammino. Invece si è scelto il peggio: giudizi sommari e offese personali hanno guadagnato la scena pubblica, i sentimenti si sono stravolti in risentimenti, la cultura del sospetto invade i blog e rompe relazioni politiche e anche antichi rapporti umani. Che tristezza! Siamo finiti in questo copione grottesco, una lunga estenuante rissa dopo una drammatica sconfitta. E io sono un target facile per campagne, anche diffamatorie, più adatte a "Libero" che non a "Liberazione".
Davvero io voglio sciogliere il partito? O voglio portarlo, udite udite, nel Pd? O voglio piegarlo al mio "leaderismo poetico"? O voglio gonfiare il tesseramento? O voglio portarlo su posizioni clericali? O voglio sostituire la mummia di Lenin con quella di Padre Pio? O voglio la Tav? E domani cosa si dirà, che la mia candidatura è un imbroglio (già detto), anzi è una insidia della stampa borghese (già detto), anzi è un epifenomeno di veltronismo (già detto). Se continua così non c'è alcun rischio di scioglimento del partito. Perché ci accorgeremo che nella foga congressuale lo avremo già strozzato, questo povero partito. Perché ognuno di noi si sentirà già sciolto: nell'acido di una polemica cattiva e insensata.
Caro Paolo e caro Claudio, non ho mai avuto una tale concentrazione di dolori (privati e pubblici insieme) come in questi durissimi mesi. Sono stato assediato da fatti di morte e di malattia che, per così dire, hanno accompagnato la scossa violenta del 14 aprile. Mi sono sentito scorticato vivo e ho pensato che ci saremmo presi cura gli uni degli altri, come si fa in una comunità solidale nella quale le differenze sono ricchezza e non minaccia. Ma le cose che leggo, quelle che ascolto, sono di una tale violenza, che mi sta passando come una nuvola nera in testa: un genere speciale di dolore, direi uno svuotamento di senso, come un lento soffocamento. Se mi guardo attorno, se vedo i giorni e le notti di quest'Italia ridisegnata e "significata" dalle destre governanti, se annuso la puzza di bruciato di tutte le pulizie para-fasciste che spazzolano il Paese, allora capisco l'urgenza di rimettere insieme un argine democratico, una difesa civile e culturale, una rete di soggetti che non si piegano al nuovo conformismo autoritario. Vedo il lavoro necessario a cui dovrebbe dedicarsi Rifondazione comunista. Questo partito io, fin dalle origini, ho contribuito a costruirlo: nelle strade polverose prima che nelle istituzioni. Io pensavo fosse giusto e cruciale portarlo ad un cimento assai alto: quello di mettere in campo un processo costituente che ricostruisse il vasto campo della sinistra. Altro che scioglierlo, piuttosto farlo vivere come strumento efficace, socialmente utile, per le giovani generazioni, per il lavoro frammentato e abbandonato alla solitudine del mercato mondializzato, per le diversità che chiedono diritti e la luce del sole, per un altro modello di sviluppo. Sulle tracce di quell'altro mondo possibile che abbiamo prefigurato e desiderato, ed eravamo moltitudini immense, a Genova. Volevo fare un Congresso su queste cose. Non voglio passare il mio tempo a difendermi da livide fantasie. Anzi, vi dico che non mi difenderò: anche perché sono un comunista di lungo corso, forse antico, ma se sento il profumo dell'odio non respiro forte, non mi inebrio, non mi rinvigorisco. Semplicemente, io mi spezzo.
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